mercoledì 31 ottobre 2012

Licenziati all'improvviso, e senza saperlo...

"Signorina, il mio badge non funziona"
I licenziamenti brutali di Ubs a Londra


Pensate cosa deve essere scoprire di essere stati licenziati solo nel momento in cui il proprio badge non funziona. Arrivi davanti al lettore come ogni mattina, lo passi una volta, poi un'altra, cominci a pensare che si sia smagnetizzato o danneggiato. Poi riprovi, lo sfreghi sulla manica per dargli una pulita, non si sa mai che ci sia un po' di sporco. Niente da fare, non ne vuol sapere di funzionare. Magari ti scappa anche un'imprecazione. Eccheccazzo! Poi arriva un collega d'ufficio e anche lui succede la stessa cosa. Comincia ad insinuarsi un dubbio: che succede? Ma la verità è un'altra e in breve viene fuori in tutta la sua crudezza: ti hanno licenziato. Maledetti, maledetti, maledetti. Nenache una lettera, neanche una convocazione per avere il coraggio di dirtelo in faccia. Il tuo capo ha fatto finta di niente fino alla sera prima, quando vi siete salutati come sempre. Bastardo. E ai piani alti sapevano ovviamente tutto. E nessuno ha detto niente. Bocche cucite, ...lecchini, venduti, bastardi vigliacchi.! Tutti, dal primo all'ultimo.

E' andata proprio così. Non è una fantasia malsana o un incubo. E' quello che è successo a Londra quando un centinaio di dipendenti del colosso bancario svizzero UBS hanno scoperto di essere stati tagliati quando ieri, cercando di entrare al lavoro, si sono accorti che i loro tesserini non funzionavano più.
Auguro di cuore a quei top manager che hanno architettato questa vigliaccata di provare a loro volta cosa significhi essere schiacciati come una mosca noiosa con un semplice gesto della mano. Ma il guaio è che i top manager quando vengono lasciati alla porta (succede anche a loro) hanno contratti di ferro che li tutelano e spesso il licenziamento in tronco si trasforma in un fiume di denaro come liquidazione o buonuscita o bonus.  E' proprio vero che la merda galleggia sempre. Maledetti.

[fonte: http://www.repubblica.it/economia/2012/10/31/news/signorina_il_mio_badge_non_funziona_i_licenziamenti_brutali_di_ubs_a_londra-45648239/?fb_action_ids=3732712632520&fb_action_types=og.recommends&fb_source=aggregation&fb_aggregation_id=288381481237582]

sabato 27 ottobre 2012

Film visti. Killing them softly (ma mica tanto)


KILLING THEM SOFTLY
Regia: Andrew Dominik
Con Brad Pitt, Ray Liotta, James Gandolfini

[Voto: 1,5 su 5]

Pollice verso per questo noioso e sciatto film di Andrew Dominik che si era fatto notare qualche anno fa per  L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, altro lavoro trascurabile almeno quanto la lunghezza del titolo. La storia è cupa e strascicata nel sottobosco di una malavita americana fatta di mezze tacche e buoni a nulla, strafatti o senza capacità criminali. Il periodo storico in cui si colloca la vicenda si può desumere dai continui spezzoni di campagna elettorale per la presidenza Usa che si vedono continuamente in tv. E' il duello tra Bush e Obama di 4 anni or sono (le nuove elezioni sono alle porte) che si svolge nel momento in cui la grande crisi economica prende corpo e comincia a deflagrare in tutta la sua devastante forza. Una crisi che si annida anche nel mondo della malavita, al punto di indurre la mafia del gioco clandestino a tirare sul prezzo delle prestazioni dei killer professionisti.
Un film dai dialoghi insopportabili e "sporchi" come i protagonisti, brutti sporchi e cattivi. Tutto il film è eccessivamente verboso e questo si riflette negativamente su tutta la vicenda che si sviluppa lentamente e forzatamente. La vicenda è scarna: tre balordi rapinano una bisca clandestina gestita dalla mafia locale andando a pestare i piedi a chi non avrebbero mai dovuto molestare. Comincia la resa dei conti che coinvolge tutti, a cominciare dalla vittima stessa della rapina, cioè il gestore della bisca, solo perchè sospettato di aver organizzato segretamente il colpo. Vediamo un distinto emissario mafioso in limousine e la fobia del fumo passivo che tratta con un killer professionista (un Brad Pitt piuttosto moscio) l'eliminazione dei colpevoli. Eliminazioni che il regista Dominik ci mostra con molto realismo sanguinolento e uso spregiudicato del rallenti. A lavoro effettuato l'emissario mafioso tira anche sul prezzo, proprio a causa della crisi che colpisce tutti, civili e mafiosi. Se voleva essere una metafora politico-economica dei tempi che viviamo, francamente non riesce ad emozionare granchè nè a suscitare particolari riflessioni.
Innsomma "Killing them softly" è un film assolutamente pleonastico e insignificante, da evitare con cura. Come se non bastasse risulta anche girato  con approssimazione e sciatteria. Un esempio? Fate attenzione al montaggio del lungo monologo di James Gandolfini (il killer alcolizzato). I bicchieri di birra e di Martini con olivetta che si scola a raffica sono di volta in volta mezzi pieni, poi vuoti e poi nuovamente pieni senza alcuna logica temporale e senza che il cameriere ne serva degli altri. Dettagli? Non direi proprio...

martedì 23 ottobre 2012

Se la scienza non è infallibile

I sette condannati per il terremoto a L'Aquila
Il tribunale de L’Aquila ha condannato a sei anni sette componenti della Commissione Grandi Rischi, rei di non aver previsto e annunciato il terremoto dell’Aquila. Il verdetto, compresa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, colpisce i sette membri della Commissione all'epoca in carica, che avrebbe fornito false informazioni circa l'improbabilità della forte scossa che la notte del 6 aprile 2009 causò la morte di 309 persone.

Attenzione, la chiave di tutto questo pasticcio sta nella parola "IMPROBABILITA'". Improbabile non significa impossibile, dunque non esclude l'eventualità infausta che un certo evento possa accadere. Sembra un concetto talmente banale e di comune comprensione da sembrare del tutto superfluo chiarirne o approfondire il significato. E invece proprio intorno a questo termine si gioca la sentenza di condanna dei giudici aquilani. Che hanno evidentemente interpretato in modo conclusivo ed esclusivo l'uso del termine "improbabile" da parte di quel comitato di scienziati come se avessero tassativamente escluso che esistesse il rischio di terremoto. Che invece ci fu e provocò centinaia di morti.

Che cosa si vuole da uno scienziato, che cosa ci si aspetta dalla scienza? La sensazione è che si voglia o si pretenda la certezza assoluta senza margini di errore. Altrimenti non si spiegherebbe l'incriminazione e la condanna dei sette scienziati. Ipotesi, incertezze o imponderabilità non sono gradite, anzi diventano un reato perseguibile. Come infatti è successo a L'Aquila. Semplicemente assurdo. Non mi pare che occorra aggiungere altro, talmente lapalissiani sono gli opposti concetti di probabilità/improbabilità e di possibilità/impossibilità. E verrebbe da chiedersi come avrebbero dovuto comportarsi i sette condannati per evitare i guai con la giustizia. Ordinare un'evacuazione di massa? Dove, in quali località? L'Aquila, tutto l'Abruzzo, il centro Italia? Seminare il panico diffondendo la notizia (falsa e non dimostrata) che ci sarebbe stato un forte terremoto? E quando?

Mi viene in mente un episodio che si perde negli anni passati. Era il 1976, a maggio. Il giorno 6, verso le 21 ci fu la terribile scossa di terremoto del Friuli che portò anche in quell'occasione morte e distruzione. Mi ricordo benissimo l'episodio perchè l'ho vissuto sulla mia pelle, sebbene fortunatamente non abbia avuto alcuna conseguenza diretta o personale. Ma la paura, lo sconcerto e il disorientamento di quei momenti sono stampati nella mia mente. E li rivivo ogniqualvolta succeda di sentire la terra tremare, non escluso il sisma dell'Emilia della primavera scorsa. Un episodio curioso, che all'epoca era una battuta che faceva ridere e serviva a sdrammatizzare l'atmosfera terribile di quella sera maledetta. Pochi minuti dopo la scossa delle 21 una delle radio private locali, Radio Padova, aveva dato l'annuncio del fatto. Ma naturalmente ancora non si aveva un quadro della situazione di quanto era successo a duecento km di distanza, in Friuli. La battuta sentita alla radio era questa: "Forte scossa di terremoto in città, ma l'epicentro è molto più a nord, in Friuli. I carabinieri sono sulle tracce dei responsabili!". Una battuta infelice quanto disarmante nella sua stupidità. Ebbene, 36 anni dopo quel 1976, una sentenza del tribunale condanna un comitato scientifico per non aver saputo prevedere il terremoto de L'Aquila. La realtà supera la fantasia. Assurdo, ma è così.

sabato 20 ottobre 2012

Film visti. Total recall, fotocopia aggiornata

TOTAL RECALL
di Len Wiseman. Con Colin Farrell, Kate Beckinsale, Jessica Biel


Voto: 2 su 5




Si può fare il remake di un film di successo senza cambiare nulla di significativo, a parte gli interpreti e gli effetti speciali aggiornati alla tecnologia di oggi? Sì, si può. E' esattamente il caso di questo inutile e piatto Total recall (Atto di forza, in Italia) che riprende pari pari il precedente di grande successo di Paul Verhoeven con  Arnold Schwarzenegger. Tanta azione, tante sparatorie, tanti morti ammazzati, tanti effetti speciali. Troppo di tutto, fino a lasciare le briciole ai contenuti, assolutamente da non sottovalutare, del racconto originale di Philip Dick da cui sono tratti i due film. Già, perchè di spunti ce ne sarebbero e anche parecchi. Tutto un discorso sulla realtà e sulla verità, nella loro oggettività e su come invece ci appaionio o ci sono presentate. Un discorso sul potere e sulla credibilità e onestà dei governanti. Temi di scottante attualità, oggi come sempre. Ma di tutto questo allo spettatore arriva ben poco, sopraffatto com'è da quintalate di mitragliate e lotte furibonde. Colin Farrell vale Arnold Schwarzenegger? La faccia di pietra dell'austriaco ex governatore della California è assolutamente la quinta essenza dell'inespressività, al cui confronto l'irlandese Colin Farrell sembra addirittura un maestro dell'arte recitativa. Fate un po' voi. Invece di nuovo rispetto alla prima versione ci sono due personaggi femminili anche loro scatenate e distruttive in piena sintonia con il tenore del film. Kate Beckinsale e Jessica Biel fanno a gara per il premio di "più bella e dannata" della pellicola. Una bella lotta, a voi il giudizio finale.
Per tutto il resto, meglio lasciare questo Total recall nel dimenticatoio.

giovedì 11 ottobre 2012

Il bimbo di Padova, una storia ignobile

Prima di tutto dico come la penso: i protagonisti adulti di questa vergognosa storia hanno tutti torto marcio. E adesso vediamo perchè.

Non è un criminale, ma un bimbo di 10 anni
Ovunque oggi impazza il video del bambino portato via dalla scuola elementare di Cittadella in provincia di Padova. http://video.corriere.it/bambino-prelevato-agenti/560742d4-137b-11e2-ad6a-6254024087b3
Le immagini mostrano degli uomini (agenti di polizia in borghese?) che con l'uso della forza trascinano il bimbo decenne per  infilarlo in una macchina. Il suo destino è di essere parcheggiato ad una istituzione in attesa dell'affido al padre separato. Lo trascinano sull'asfalto mentre cerca di divincolarsi e si dibatte disperato. Urla, chiede aiuto e si aggrappa a qualunque appiglio per non farsi portare via. Bisogna guardare e riguardare il filmato più volte per capacitarsi di quello che è successo perchè alla prima visione sembra tutto così irreale e impossibile da accettare. Quello che stupisce è l'accanimento violento su quel povero bambino. Senza escludere nessuno, dai poliziotti ai genitori, ai parenti, alla nonna, alla zia e chissà quanti altri che hanno partecipato o -peggio- organizzato l'indegna gazzarra con tanto di telecamera pronta allo scopo di riprendere la scena. Che nessuno mi venga a dire che tutta quella gente era lì per caso, intruppata e urlante, armata di telecamera. Da quanto si legge, la gazzarra si sarebbe scatenata al momento in cui il nonno e la zia del bambino hanno aggredito gli agenti. Forse facendo finta di ignorare che più clamore e più urla accompagnate da strilli e imprecazioni avrebbero comportato per il bambino una robusta razione di terrore aggiuntivo? Nessuno dei parenti ha pensato che creare quel pandemonio avrebbe solo peggiorato le cose? Nell'interesse di quel povero bambino, figlio, nipote non avrebbe dovuto svolgersi tutto con il minor danno emotivo possibile? Ma, soprattutto, la responsabilità dell'accaduto va addebitata a chi ha autorizzato un'azione del genere, neanche si fosse trattato di un pericoloso criminale mafioso. Nessuno degli attori  istituzionali di questa triste storia ha un figlio o un nipote o semplicemente un fratellino o sorellina minore? Se si fosse trattato del loro figlio o nipote i poliziotti si sarebbero comportati allo stesso modo in virtù di un ordine ricevuto? Psicologi, psichiatri e altri supposti esperti del settore hanno consigliato e/o autorizzato un comportamento del genere o si è trattato di una situazione sfuggita di mano agli agenti? E nessuno di loro ha sentito la necessità di fermarsi senza arrivare a tali eccessi?
Ma su tutto e su tutti la domanda di fondo è come sia possibile che certi genitori pur di scannarsi tra loro usino il proprio figlio per raggiungere lo scopo di distruggere l'ex coniuge? Non si fermano nemmeno di fronte ai danni che procurano al loro figlio?  A che danni va incontro quel bambino maltrattato e trattato con tanta inutile e gratuita violenza? In tutta questa vicenda è questo disprezzo per il bimbo la cosa che più mi fa indignare.
Si legge in serata, come ciliegina sulla torta, che il capo della Polizia ha chiesto scusa per l'operato degli agenti. Scuse che non risolveranno nulla.

domenica 7 ottobre 2012

Film visti. Amore e handicap senza falsi pudori


Un sapore di ruggine e ossa
Regia di Jacques Audiard
Con Marion Cotillard, Matthias Schoenaerts

Voto: 3.5 su 5



Lui è un tipo rozzo e problematico con un figlio piccolo e tanta miseria con cui fare i conti ogni giorno. Lei è una donna di successo, semplicemente splendida e con un lavoro interessante. Lui è povero e marginale, lei è bella e sicura di sé. Non hanno niente in comune. Lui lascia il nord della Francia in cui vive per spostarsi al sud, Lei subisce un drammatico incidente (è istruttrice di orche in un parco acquatico) che le lascia dei moncherini al posto delle gambe e un conto in sospeso con la vita. I due si incontrano e, sebbene così diversi, qualcosa cambia per entrambi. Ciascuno a modo suo e non sempre felicemente, tra i due nasce qualcosa, sia pure tra una ostentata indifferenza al limite dell'insensibilità per Lui e una malcelata sofferenza affettiva per Lei. Malcelata sì, ma che soltanto Lui non vede. Le attenzioni di Alì per Stephanie danno sempre l'impressione di essere in bilico tra la compassione e il non aver niente di meglio da fare. Lei si capisce che forse vorrebbe qualcosa di più che la semplice "ginnastica riabilitativa" (qualunque significato si voglia dare al termine). Tuttavia, sia pure con questa differenza di sensibilità e atteggiamenti, Stephanie riesce con l'aiuto di Alì a trovare la forza di reagire fino ad accettare l'utilizzo di protesi meccaniche per ricominciare a camminare ed avere una vita in qualche modo normale. Non mancano certo gli incidenti di percorso che offrono l'occasione al regista di riflessioni sul tema dell'handicap. Lo spettatore combatte tra la spiazzante insensibilità dell'uno (Alì) e la grande tenerezza che ispira l'altra (Stephanie), che pure lo supporta e lo sopporta nella bieca attività di lottatore da scommesse clandestine. Una bella lotta tra rozzezza e superficialità contro sensibilità e voglia di tenerezza. Fino al drammatico epilogo della vicenda che naturalmente non è giusto rivelare.

Facile andare a cercare confronti e paragoni con uno dei successi della passata stagione cinematografica, quel "Quasi amici" che addirittura rappresenterà la Francia agli Oscar del 2013. Storia di un tetraplegico ricco sfondato e del suo badante fuori di testa e dalle regole che lo porta a dare una svolta alla sua vita di invalido rassegnato e depresso. Atmosfere e personaggi del tutto diversi. Leggero e divertente quel film, sebbene niente affatto banale nella trattazione del tema dell'handicap, duro e drammatico questo lavoro di Jacques Audiard. E coraggioso quando riesce ad affrontare il tema scabroso e delicato della sessualità per il portatore (portatrice) di handicap. Argomento da sempre tabù da evitare o da prendere con le molle. Audiard invece lo affronta di petto e senza false ipocrisie, il che rende ancora più apprezzabile il film. Che è un bel film, va detto chiaramente. Merito, come detto, del regista che riesce a narrare una storia non facile col suo stile rude e diretto senza manierismi e compiacimenti. Merito dei due protagonisti: il ruvido e impenetrabile Matthias Schoenaerts; la brava, bella e adorabile Marion Cotillard. L'attrice francese, sebbene ormai diva internazionale conclamata, si mette coraggiosamente in gioco interpretando un ruolo difficile, quella della protagonista invalida, e soprattutto rischioso professionalmente. Rischioso perchè facilmente sarebbe potuto scadere nella trita recitazione di maniera della sfortunata handicappata. Al contrario, riesce ad essere molto personale e rigorosa, senza banali compiacimenti. ...E che bella che è Marion Cotillard, senza un filo di trucco, al naturale. Vi sono donne dotate di un fascino innato e una bellezza semplice, senza artifici, che non hanno bisogno di trucco e parrucco per emergere con prepotenza. Marion è una di queste.