martedì 5 novembre 2013

Ivano Ponchia, l'eterno bambino

Questa notte è morto un amico. Un rugbysta con un illustre passato. Nazionale azzurro degli anni '50, ex giocatore del Petrarca Padova. Un personaggio a tutto tondo che lascia un grande vuoto, al di là di ogni retorica. Aveva 82 anni e forse non più molta voglia o forza di vivere, dovendo quotidianamente subire le ingiurie dell'età e della salute che lo stava giorno dopo giorno lasciando. Nell'ambiente rugbystico si usa una metafora per descrivere il grande passo dalla vita alla morte. "Ha passato la palla", si dice. Chissà, forse per pudore, forse per timore di chiamare le cose col loro nome.


Ivano con il "cap", il cappellino riservato
a chi ha vestito la maglia della nazionale di rugby
Questa notte Ivano Ponchia ha passato l'ultima palla e ci ha lasciati. Gli esiti di una banale caduta in casa gli sono stati fatali, pur se da tempo la salute di Ivano era piuttosto precaria. Una ferita non solo per l’ambiente petrarchino, ma per tutto il rugby italiano. Ivano infatti è stato il primo giocatore azzurro a segnare una meta a Twickenham, il tempio del rugby inglese. Eravamo negli anni '50. Tutti noi rugbysti delle generazioni seguenti in qualche modo gli siamo debitori.


Ivano era una persona che non passava inosservata. Voglio qui rendergli omaggio con alcuni brevi ricordi. Ivano era un’icona vivente di come si possa conservare un animo gioioso da bambino pur portando  –a volte con fatica– il peso dei capelli bianchi e degli acciacchi dell'età avanzata. A dispetto degli anni, Ivano ha sempre mantenuto un cuore leggero e aperto alla gioia di vivere, al divertimento, alla battuta, allo scherzo. Mi ricordo, molti anni fa,  la mia prima partecipazione ad una Cena di Natale dei Petrarchi (gli Old ex petrarchini), quando ad un certo punto fece il suo ingresso in sala un Babbo Natale di rosso vestito, sgargiante nel contrasto dell’abito con la barba canuta. E dietro la barba due occhi sorridenti. Quelli di Ivano, che distribuiva caramelle a manciate, panettoni e pandori, penne e calendari. Gadget natalizi, nulla di più. Con semplicità, con malcelato divertimento personale nel rendersi bambino agli occhi di tutti. C'era una luce di fierezza in quel Babbo Natale. Questo è stato Ivano per me in questi anni e sempre rimarrà così: due occhi sorridenti dentro un costume rosso fuoco da Babbo Natale.

Mi piace ricordarlo con un brano che di Ivano dice tutto, al punto che sembra scritta per lui, uomo amato e rugbysta apprezzato.


Ivano in versione natalizia
 Da grande voglio fare il bambino,
per conservare una parte che lasci sempre spazio all'entusiasmo,
che non lo perda mai,
per continuare a pungermi con le rose
senza mai la paura di toccarle.

 Alla felicità ci si arriva navigando fra le nuvole
ma senza sottovalutare la forza delle braccia,
la forza del desiderio.
Ci vuole allenamento.

dal libro "La luna blu. Il percorso inverso dei sogni" di Massimo Bisotti 

martedì 8 ottobre 2013

Film visti. Gravity, naufraghi nello spazio

Gravity

Regia di Alfonso Cuarón. 
Con Sandra Bullock, George Clooney.

[Voto: 4 su 5]

Si dice fantascienza e si pensa al futuro, agli alieni, a mondi nuovi e inesplorati. Invece no. Non in questo film di Alfonso Cuaròn. Perchè, pur appartenendo formalmente al filone sci-fiction con astronavi e astronauti, si tratta di una storia dei giorni nostri, o potrebbe addirittura essere un pezzo di storia passata. Una cosa simile l'abbiamo già vista con Apollo 13, un film del 1995, diretto da Ron Howard sulla disavventura della navicella americana in procinto di arrivare sulla Luna e costretta a rientrare precipitosamente sulla Terra per dei guasti irreparabili ("Houston, abbiamo un problema..."). 
La storia è semplicissima. Gli astronauti Ryan Stone (Sandra Bullock) e Matt Kowalsky (George Clooney) lavorano ad alcune riparazioni di una stazione orbitante nello spazio quando uno sciame di detriti formatisi dalla distruzione fortuita di satelliti orbitanti intorno alla terra, distrugge la loro stazione, fa a pezzi lo Shuttle e li lascia a vagare nello spazio nel disperato tentativo di sopravvivere e trovare una maniera per tornare sulla Terra. Due personaggi, una vicenda ridotta all'osso. L'ideale per mettere i personaggi di fronte a situazioni estreme. Lo spazio, il vuoto assoluto, l'assenza di gravità, la perdita dei punti di riferimento e dei contatti con il centro di controllo a terra. Come se all'improvviso fosse venuto meno il rassicurante apporto del cordone ombelicale che lega i due astronauti alla madre Terra. Soli, abbandonati nello spazio, con l'ossigeno in esaurimento e nessuno aiuto in arrivo. Due naufraghi su una barca nell'oceano, in balia delle onde. Due disperati a piedi nella vastità di un deserto con poche gocce d'acqua a disposizione. Questo è Gravity di Cuaron. L'occasione per sfoggiare incredibili effetti visivi della messa in scena, tutta in computer grafica e realistica ai massimi livelli immaginabili. Una fotografia sfolgorante e magica, nel mio caso rovinata dalla visione obbligata in 3D con relativi occhialetti. Ma c'è anche la versione 2D, che personalmente preferisco, sempre se disponibile al cinema. Ma le qualità di Gravity stanno anche nel saper affrontare temi non solo spettacolari, ma anche umanistici e filosofici: l'uomo deve combattere contro avversità naturali o diabolicamente disseminate dal caso facendo affidamento sulle sue risorse e sul suo ingegno, senza perdersi di coraggio e scommettendo sulla propria capacità di razionalizzare i problemi e le difficoltà. Questo non senza fare i conti con il proprio passato, naturalmente doloroso e tragico, che per tutta la vita si è cercato di affrontare e combattere anche affrontando grandi imprese. Ad vedersela con tutte queste prove è lei, la dottoressa Stone, figura femminile della storia. Lui  invece, Kowalsky/Clooney, è il tipico maschio yankee un po' cowboy e un po' dandy, un po' sbruffone e un po' simpatica canaglia. Questa femminina presenza infonde fiducia e rasserena in qualche modo lo spettatore trasformando lo scoramento della dottoressa Stone di fronte alle sventure a raffica che le capitano nella sua forza. Scoramento e forza, passione e risurrezione. Paura e coraggio, disperazione e fiducia. I due estremi che si affrontano. Come nello spazio dove freddo estremo e caldo infuocato o buio profondo e luce accecante si fronteggiano e si alternano. Tutto questo è Gravity.

martedì 17 settembre 2013

Neologismi e anglicismi... Parbuckling

Parbuckling
Significato 1. A rope sling for rolling cylindrical objects up or down an inclined plane (trad.: un'imbracatura per rotolare oggetti cilindrici su o in giù lungo un piano inclinato).

Da oggi parbuckling entra a far parte della lingua italiana corrente, quella che comprende i neologismi più comuni o gli anglicismi più usati. Parbuckling assurge agli onori della cronaca e del lessico con la titanica operazione di ribaltamento della nave da crociera Costa Concordia naufragata sugli scogli dell' Isola del Giglio. Tra ieri e oggi è stata fatta rotolare su un fianco e rimessa in condizioni di galleggiamento. Per tale operazione in lingua inglese si usa, per l'appunto, il termine marinaresco "parbuckling", riferito originariamente al rotolamento di pesanti botti su un piano inclinato fino a far loro raggiungere la posizione voluta. La stessa cosa che è stata fatta con la Costa Concordia.


Cliccare per ingrandire l'immagine


E' pressoché inevitabile che la parola "parbuckling" vada in breve ad affiancare altri neologismi come "board meeting", "debriefing", "brunch", "brain storming" e centinaia di altri che sono ormai entrati di diritto nel dizionario di molti italiani che amano dare un'immagine moderna e dinamica di sé. A mio avviso il termine italiano che meglio esprime la manovra fatta con il transatlantico della Costa armatrice è "ribaltamento". La nave è stata fatta rotolare sul proprio asse fino a far emergere la parte sommersa recuperando l'originario assetto di galleggiamento. E' stata quindi ribaltata di quasi 90 gradi. Oltretutto il termine riprende il più specifico "ribalta" ossia, su un palcoscenico teatrale, il bordo del proscenio, la parte più protesa verso la platea; delimita il palcoscenico stesso ed è la sezione più in vista dal lato del pubblico. In senso lato, la nave è stata riportata alla vista nella parte fino ad allora nascosta perché sotto la superficie dell'acqua.  Da qui a mio avviso il termine ribaltamento come il più corretto per l'uso in lingua italiana.
Video accelerato (anglicismo: timelapse) del parbuckling della Costa Concordia:  http://www.linkiesta.it/costa-concordia-parbuckling-timelapse

Da qui a breve sono attesi anche utilizzi più acrobatici della parola "parbuckling" mutuandola nel linguaggio comune, giornalistico o politico (dove i ribaltamenti sono roba di tutti i giorni...), soprattutto in questa fase in cui non tutti sanno cosa vuol dire e quindi taluni potranno utilizzarla a sproposito, giusto per darsi un tono. Quindi, qualora ci si trovasse con qualcuno che disinvoltamente utilizzasse il termine parbuckling nel mezzo della conversazione...  tranquilli, non è un'offesa!

lunedì 16 settembre 2013

Film visti. Il potere dei soldi

IL POTERE DEI SOLDI
Regia di Robert Luketic. 
Con Liam Hemsworth, Harrison Ford, Gary Oldman, Amber Heard, Richard Dreyfuss.

[Voto: 2 su 5]

Un filmettino, niente di più. Con un grande cast -sprecato- di grossi nomi ( Harrison Ford, Gary Oldman, Richard Dreyfuss) e un paio di emergenti dalle facce "giuste&bellocce" (Liam Hemsworth,  Amber Heard). Risultato sbiadito e trascurabile.

Adam Cassidy (Liam Hemsworth) è un giovane ambizioso e talentuoso, che vorrebbe far carriera in una grande azienda multinazionale di telecomunicazioni e lasciarsi alle spalle i problemi economici che affliggono la sua famiglia. Una bravata, per ripicca al licenziamento subito, lo mette però in un guaio più grande di lui. Il magnate Wyatt, suo ex datore di lavoro, lo ricatta obbligandolo a farsi assumere dalla concorrenza per rubare il prototipo di un nuovo telefono che rivoluzionerà il mercato. Adam non ha scelta. Spionaggio industriale o galera per truffa, ma gli altri -veri squali- non hanno scrupoli di sorta. 

Amber Heard
Amber Heard
In mezzo ci sta il tentativo di delineare un ambiente (due grandi multinazionali ipertecnologiche) e dei personaggi (i due mega boss, il loro plaudente entourage, il vecchio padre del rampante protagonista). Il risultato è goffo e raffazzonato, sia pure in carta patinata. Il vecchio padre è impersonato da Richard Dreyfuss, che agli occhi di tutti, figlio compreso, ha la grave colpa di aver fatto per 32 anni lo stesso misero lavoro di guardia giurata, ritrovandosi alla fine pensionato, ammalato e solo, e per di più con un figlio che lo disprezza. Ed è proprio l'esempio negativo del padre a spingere il giovane ingegnere elettronico a tentare l'impossibile, spionaggio indiustriale compreso, pur di raggiungere il successo, senza del quale evidentemente non si possono avere auto di lusso e appartamenti da mille e una notte. Immancabile anche la figura della belloccia di turno un po' vacca (Amber Heard) che, finchè il giovane Hemsworth è uno sconosciuto squattrinato non lo reputa all'altezza di una relazione che vada oltre il sesso occasionale di una notte, ma quando comincia a scalare a montagna del successo improvvisamente si ritrova perdutamente innamorata di lui. E qualcuno oserebbe forse affermare che il potere dei soldi non esiste? Avercene.....!!!

Il film, forse per tardivi scrupoli di coscienza, raddrizza la mira in extremis e dopo aver in lungo e largo osannato il mito tipicamente americano della ricerca del successo come unico scopo di vita, vira di brutto finendo col dirci che tutto sommato l'onestà del vecchio e cencioso padre di Hemsworth vale di più della ricca, ma disonesta vita dei boss delle multinazionali. Bah...
Finale moralistico e stucchevole. Più happy end di così non si può. 

E naturalmente tutti vissero felici e contenti...



giovedì 12 settembre 2013

DIO senza "D" = io (uno slogan da applausi)

Polemiche roventi a Verona per questo manifesto proposto da UAAR (Unione degli Atei Agnostici Razionalisti). Link: http://www.uaar.it/news/2013/09/10/censura-verona-giunta-vieta-manifesti-uaar/

Dio senza "D" =  io

Trasmettono un messaggio “potenzialmente lesivo nei confronti di qualsiasi religione”. È quello che la giunta a guida leghista del Comune di Verona pensa dei manifesti Uaar. E quindi, nonostante questi fossero già stampati nel rispetto di tutti i regolamenti comunali, ha detto “no” alla loro affissione.
In un comunicato l'UAAR afferma:  Nessuna amministrazione pubblica era sinora arrivata a tanto. I manifesti Uaar sono già stati affissi a Roma, Milano, Bologna, Firenze, Bari, Ancona, Cagliari e persino nella stessa Verona (a cura di un privato), ma una presa di posizione istituzionale di questo tenore non si era ancora verificata, (...)
E ancora: Il messaggio non esclude affatto l’esistenza di Dio: si limita ad affermare che dieci milioni di italiani vivono — generalmente bene — senza farvi alcun riferimento.
Per informazione, va detto che la campagna è stata ideata dalla creative agency Zowart.
Perché questa campagna? “Viviamo in una società in cui i non credenti sono ritenuti pochi, sono presentati negativamente e sono spesso oggetto di disparità di trattamento”, spiega Raffaele Carcano, segretario Uaar. “Con la nostra campagna vogliamo invece ribadire che in Italia vivono (generalmente bene) circa dieci milioni di non credenti, e che c’è chi si impegna per eliminare le discriminazioni nei loro confronti”.

Polemiche roventi, come sempre succede nel nostro paese per qualunque argomento che veda opinioni opposte. A maggior ragione quando il tema è delicato come credere o non credere in Dio. Si badi bene, in questo caso la parola Dio potrebbe essere tranquillamente scritta in caratteri minuscoli perchè non fa riferimento a nessuna divinità in particolare e dunque a nessuna confessione religiosa. Dio è un termine e un concetto universale, comune a tutte le fedi e a tutte le religioni. Non un nome proprio, anche se  per i cristiani è vero il contrario. Per i fedeli di Santa Romana Chiesa Dio è l'unico riconosciuto e venerato, l'unico degno di fregiarsi di tale nome. Ma senza dimenticarsi della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Pur essendo una religione per eccellenza monoteista, quella cristiano-cattolica postula che Dio sia uno e trino, tre esseri riuniti in uno solo. Non mi addentro in disquisizioni teologiche dottrinali perchè non ne ho adeguata competenza e conoscenza. Ma fin qui ci arriviamo tutti, trattandosi di elementi basilari della nostra cultura e tradizione italiana. Poi ognuno ha o si fa le proprie convinzioni, ma queste conoscenze elementari sono comuni a tutti.
Il fatto è che l'UAAR grida alla censura e protesta vigorosamente promettendo di non desistere e di dare battaglia. Anzi dichiara che si muoverà di conseguenza laddove dovessero esserci discriminazioni nei confronti dei suoi aderenti.


Mi viene spontanea qualche considerazione. Prima di tutto sgombriamo il campo da un facile equivoco che vede sovrapporsi il concetto di religione con quello di dio. Un ateo è colui che non crede in un essere divino e pertanto l'oggetto del non-credere non può essere la religione che -per inciso-è solo un insieme di regole comportamentali che si possono anche non osservare pur essendo o dichiarandosi credenti (di non praticanti è pieno il mondo, anzi sono la stragrande maggioranza di coloro che si professano credenti). Il manifesto dell'UAAR è impeccabile sotto il profilo logico e letterale. E l'amministrazione comunale veronese sbaglia quando si lancia in affermazioni sul merito del suo contenuto. Dio non è sinonimo di cattolicesimo nè di alcuna altra religione. Vale per musulmani e cristiani, per induisti o buddhisti. Quindi lo slogan non prende di mira nessuno in particolare. Senza "D" della parola Dio rimane "io", ovvero l'uomo e non il divino al centro di tutto. Potrà non piacere, potrà sembrare presuntuoso o supponente, ma è uno slogan impeccabile, direi da applausi (per questo motivo poco sopra ho citato l'agenzia creativa che lo ha formulato).
Altra cosa è chiedersi se abbia un senso una campagna pubblicitaria per sostenere l'ateismo, ossia uno stato di non-essere, non-credere, non-partecipare. Insomma una negazione sostenuta in positivo da una pubblicità che per sua natura spinge in senso opposto, cioè a fare o a credere in qualcosa, ossia l'oggetto del messaggio pubblicitario, il prodotto da reclamizzare. Mi sembra una contraddizione in termini. Uno dovrebbe a rigor di logica essere invogliato a fare o credere in qualcosa, non a non-fare o a non-credere. Ma probabilmente la spiegazione è molto banale e utilitaristica: una quota di iscrizione e il sostegno come associati.
Questo, senza voler essere offensivo in alcun modo con nessuno, naturalmente.

lunedì 9 settembre 2013

Film visti. Riddick, un eroico criminale indomito e imbattibile

Locandina italiana RiddickRIDDICK
Regia: David Twohy
Con: Vin Diesel, Katee Sackhoff
 
[Voto: 2,5 su 5]
 
 
Terzo film della serie. Riddick/Vin Diesel è un criminale ricercato in tutta la galassia. Lo troviamo, spietatamente abbandonato colà dai suoi avversari, su un pianeta desolatamente disabitato, ma pericoloso e letale. L'Indomito combatte quotidianamente una dura battaglia di sopravvivenza contro bestiacce ferocissime e forze della natura avverse. Unico essere vivente che non lo voglia spolpare è un cucciolo addomesticato di simil-lupo locale che ha allevato amorevolmente fino a diventare inseparabili amiconi. Quando decide che non ne può più di quella vita da campeggiatore estremo (ovvero dopo circa mezz'ora di avventure da superduro-che-Rambo-non-gli-fa-un-baffo...) fa in modo che un sistema automatico di segnalazione intergalattico attiri feroci cacciatori di taglie mercenari. L'obiettivo del nostro eroe è trasformarsi da preda in cacciatore, impadronirsi della loro astronave e svignarsela in attesa di un quarto sequel della saga.
Katee Sackhoff
Katee Sackhoff
(già vista nel serial tv Battlestar Galactica)
 

 
Il film è esile e banale nella sua costruzione, quanto spettacolare e ridondante di scene di azione con grande uso di effetti speciali. Ma mantiene tutte le promesse di film di genere, con un livello di tensione costante senza cadute di ritmo, buoni interpreti caratteristi (la mercenaria con-le-palle sciupamaschi Katee Sackhoff ha quel non so che di torbido al punto giusto...), mentre Vin Diesel si esprime ai suoi massimi livelli attoriali esibendo imperterrito sempre la stessa identica espressione bovina per ben due ore di film. Non mica roba da tutti, eh....

lunedì 2 settembre 2013

Film visti. In trance, colpi di scena ipnotici...

IN TRANCE
Regia: Danny Boyle
Con: James McAvoy, Rosario Dawson, Vincent Cassel
 
[Voto 2,5 su 5]
 
 
In un intreccio poliziesco, tanto più è complicato, tanto più è necessario che sul finire della vicenda uno dei personaggi riprenda le fila della narrazione per fare chiarezza e spiegare come stiano le cose. Abbiamo illustri esempi in materia. Penso a Rex Stout con il suo Nero Wolf, che usava questo artificio narrativo per illuminare i lettori che annaspavano nelle spire della trama. Questo In trance di Danny Boyle è diabolicamente complicato (direi assurdamente...) con colpi di scena finali a ripetizione e con uno sviluppo intermedio della vicenda che si insegue e si accavalla fino a stordire letteralmente lo spettatore.
La storia sarebbe semplice a dire il vero; è il come e il perché che è complicato. Una banda di ladri di opere d'arte organizza una rapina nel corso di una battuta d'asta. Succede un contrattempo e il basista nasconde la tela trafugata perdendo però la memoria. Niente refurtiva e grande ira dei complici che sospettano che l'amnesia sia solo un trucco per fregarli. La banda decide di usare l'ipnosi per far tornare la memoria al presunto furbetto traditore. E qui le cose si complicano maledettamente perché entra in scena lei, la fatale e affascinante ipnoterapeuta interpretata da una sfolgorante Rosario Dawson. La splendida dark lady prende il comando della situazione, ben consapevole che tutto dipenda dalla sua abilità come ipnoterapista. Complicazioni a iosa: innamoramenti, gelosie, vendette, sospetti, omicidi, ricordi vecchi e sopiti che riemergono dalle nebbie del passato... Ce n'è per tutti i gusti fino al punto che lo spettatore (io di sicuro...) finisce col non capirci più niente, facendo fatica a distinguere il vero dall'onirico, la realtà dal ricordo o dall'immaginario ipnotico. E poi nel finale, una raffica di colpi di scena uno dopo l'altro, con il successivo che modifica il precedente, spostando di volta in volta da un'ipotesi all'altra, da un personaggio all'altro il bandolo della matassa.
Alla fine a risolvere parzialmente la situazione interviene la stessa ipnotista che quasi fuori campo, svela un po' di arcani narrativi. Per fortuna.
 
Presuntuoso e pretenzioso questo film di Danny Boyle. Un'aria sofisticata e patinata che mal si addice a buona parte dei personaggi. Ladri e delinquenti che dialogano con levità e sufficienza da intellettuali consumati sono francamente poco credibili. Intrecci di sceneggiatura che si reggono -forse- per miracolo e che dovrebbero mantenere tutta l'impalcatura della vicenda. Ambientazione in location da super ricchi poco credibili e sicuramente eccessive per il livello dei personaggi. Tutto sembra teso a ingigantire ed enfatizzare ciò che non merita di essere ingigantito ed enfatizzato. A parte la magnifica bellezza di miss Rosario Dawson...
 

venerdì 30 agosto 2013

Libri. Rugby Mar del Plata, uniti fino alla morte

Mar del Plata
di Claudio Fava


E' una storia vera, raccolta a distanza di anni da un giornalista argentino dalla viva voce dell'unico superstite della vicenda e poi riportata su libro da Claudio Fava. Il fatto che siano passati decenni dai quei tragici fatti non allenta minimamente la tensione di quei momenti. E il racconto, sebbene con qualche limite di scrittura che -ahimè- non mi ha convinto, attanaglia il lettore in un crescendo a cui è difficile sottrarsi sospendendo la lettura del libro. Che infatti si divora in un baleno. Il periodo storico è quello degli anni '70 e seguenti, in cui l'Argentina fu in mano alla giunta di militari comandata dal generale Videla. Una banda di assassini infami e vigliacchi che in nome della madre Patria da difendere dai comunisti hanno insanguinato un'intera nazione. Le cifre parlano di 30.000 morti, molti dei quali mai neppure ritrovati cadaveri. E' stato il tempo tragico dei desaparecidos e delle torture dei militari. Bastava un semplice sospetto per sparire dalla circolazione. E i più fortunati venivano eliminati con un colpo alla testa. I più disgraziati invece subivano indicibili torture.

Il protagonista si chiama Raul, è argentino ed è un giocatore di rugby. La sua squadra è il Mar del Plata, che guida la classifica. E' un manipolo di giovanissimi, in parte studenti, in parte lavoratori o dopolavoristi. Gente che unisce il sacrificio per il lavoro e lo studio con la passione per il rugby. Sport di nobili principi che in Argentina gode di notevolissimo seguito di pubblico e di tradizione. Non che possa competere con il calcio, ma certamente è uno sport molto apprezzato.
Il Mar del Plata nel giro di un campionato non esiste più. I giocatori, uno ad uno, morti, tutti, per mano dei sicari della giunta militare. Il primo a morire, colpevole di essere iscritto ad una associazione studentesca invisa ai militari, viene ricordato dai compagni con un minuto di raccoglimento all'inizio della partita di campionato. Solo che quel minuto ne durò ben dieci. I suoi compagni rugbysti lo volevano ricordare così. Un affronto per il governo. Il fatto fece scalpore e la gente, sia pure sottovoce, ne parlava. Il pubblico allo stadio aumentava ad ogni incontro; la squadra guidava il campionato e non era chiaro se il tifo fosse per i meriti sportivi della capolista o per il coraggio dimostrato nel ricordare il compagno morto. E allora i morti diventano due, poi tre, poi uno alla volta tutti furono decimati dagli aguzzini dei militari.

Lui, Raul, è l’unico sopravvissuto. Una squadra di fantasmi. Mentre l’Argentina si prepara a trasformare i campionati del mondo di calcio del 1978 nella vetrina del regime, tra la giunta militare e quei ragazzi si accende una sfida che non prevede armistizi. Uno dopo l’altro i giocatori spariscono: ma per ogni giocatore ucciso, un ragazzino del vivaio viene promosso titolare. Uniti intorno alla squadra e ai compagni uccisi, oltraggiati, torturati. Eppure avrebbero avuto la possibilità di salvarsi scappando in Francia, dove avrebbero trovato ospitalità come esuli e come rugbysti. Invece no. Il coraggio e l'orgoglio li tenne ancorati alla loro terra, al loro paese, alla loro squadra. E così, mentre il mondo celebra l’Argentina campione del mondo di calcio fingendo di non sapere cosa stia accadendo, i ragazzi del Rugby La Plata continuano a giocare, a vincere, sapendo che potrebbe essere la loro condanna a morte. E così è, infatti. Fino all'ultimo rimasto: Raul. L’ultima di campionato si porta in campo una squadra di ragazzi. Più lui, miracolato, chissà perché. Anche l'allenatore viene fatto fuori, non dopo aver subito terribili torture. Per la giunta militare, che assiste alla finale di campionato dalla tribuna con le divise tirate a lucido sul palco d’onore, sarà il campanello d'allarme dell’inizio della fine. Ma solo dopo altri anni di dittatura, di morte, di violenze.
Una storia vera, , di rugby e politica, di violenza indicibile e di amore e rispetto per se stessi, per i propri ideali di libertà. Raccontata con passione trent'anni dopo perché nessuno debba dimenticare il sacrificio di quegli innocenti.

Film visti. Elysium, guardare al presente scrutando il futuro

ELYSIUM
Regia di Neill Blomkamp. Con Matt Damon, Jodie Foster.

[Voto 3,5 su 5]


ELYSIUM: UN'ALLEGORIA FANTASCIENTIFICA SULL'IMMIGRAZIONE

Nel 2009 il regista Neill Blomkamp si presenta sulla scena cinematografica con il suo primo lungometraggio (District 9) convincendo critica e pubblico con il suo mix di originalità e innovazione nel trattare il tema dell'invasione aliena corredato da un pungente commento sulla società. Con Elysium, la sua seconda opera, Blompkamp continua sulla scia della fantascienza mista a forti connotazioni sociopolitiche e presenta due mondi distinti e separati: la Terra sovrappopolata e in rovina da una parte, Elysium dall'altra, una  enorme stazione spaziale orbitante abitata da persone estremamente ricche che si sono create un nuovo mondo parallelo, salubre, ipertecnologico ed esclusivo. A nessuno che non appartenga alla ristretta cerchia di cittadini autorizzati è consentito l'accesso alla nuova Terra artificiale. Gli intrusi sono allontanati con la forza o eliminati senza scrupoli.

La metafora fantascientifica di Elysium che si aggancia alla realtà odierna è fortissima e trasparente. La società attuale vive esattamente questo conflitto e in particolare l'Italia, per la sua collocazione geografica al centro del Mar Mediterraneo che la individua come porta dell'Occidente del benessere per tutta quella parte del mondo genericamente definita come Terzo mondo sottosviluppato o in via di espansione. E le reazioni sono quelle che ben conosciamo dalle cronache quotidiane e dai commenti e le prese di posizione dell'opinione pubblica. Ormai la diffidenza verso gli immigrati è diventata rabbia e rifiuto generalizzato con evidente matrice razzistica e xenofoba. A priori, sulla base di pregiudizi e preconcetti che sposano prima di tutto l'etnia e il colore della pelle come elementi discriminanti. Persino Papa Francesco è stato pesantemente attaccato per la sua scelta di testimoniare fratellanza e accoglienza cristiana ai migranti che approdano sull'isola di Lampedusa. Neppure la massima autorità e capo spirituale del mondo cattolico si è salvato dal vero e proprio linciaggio portato da una certa parte dell'opinione pubblica italiana.
Naturalmente il film dopo un inizio descrittivo delle differenze tra i due mondi, quello terrestre dei poveri e derelitti e quello artificiale dei ricchi ipercivilizzati, segue il suo filo logico sviluppando la parte più filmica e d'azione della trama. Con i Buoni eroici e idealisti (Matt Damon in insolita versione Rambo) che combattono i Cattivissimi e spietati detentori del potere (una luciferina Jodie Foster leader dei terrestri privilegiati). L'epilogo non è del tutto scontato e si mantiene ad alto livello di coinvolgimento per lo spettatore nel classico modulo di action movie. Mantenendo però una matrice sociologica che offre una lucida chiave di lettura sul problema evidenziato in apertura. L'integrazione e la condivisione delle risorse naturali e tecnologiche è l'unica strada per evitare il conflitto aperto tra i due mondi che si attraggono e respingono vicendevolmente. Una chiave di lettura offerta dal film che cade a pennello nella realtà attuale, italiana e non solo, ovviamente. O l'Occidente si rende conto che la chiusura e le barricate portano solo ad accentuare una spirale di odio oppure la marea enorme che spinge dal Terzo mondo avrà alla lunga la meglio col risultato di rischiare di spazzare via quello che rimane della cultura occidentale. E personalmente non vedo soluzioni alternative, credibili e praticabili alla condivisione e integrazione anche nel ristretto ambito della nostra povera Italia.

martedì 27 agosto 2013

Film visti. C'è onda e onda... (e anche surf)




DRIFT
Regia di Ben Nott, Morgan O'Neill.
Con Sam Worthington, Lesley-Ann Brandt, Xavier Samuel, Myles Pollard, Robyn Malcolm.

[Voto 2 su 5]

Locandina originale
Un mercoledì da leoni
Due parole: lasciate perdere. Questo film australiano vuole raccontare la storia di una famiglia di appassionati surfisti che uniscono la passione sportiva alla vocazione imprenditoriale. Alla base di tutto dovrebbe esserci una vicenda appassionante, immagini mozzafiato e qualche colpo di scena. Invece è tutto molto approssimativo, molto "vorrei-ma-non-posso", molto abbozzato e naif. Alla fine è un polpettone con toni melodrammatici, con assenza di suspence relativa all'esito finale della gara di surf (è stra-ovvio come andrà a finire), con immagini non particolarmente emozionanti sulle evoluzioni dei surfisti.

Un consiglio. Se volete davvero rifarvi gli occhi con le evoluzioni delle tavole acquatiche accompagnando il tutto con una bella storia e bellissimi personaggi, andate a cercare il vecchio DVD di Un mercoledì da leoni del grande John Milius. Rimane insuperabile anche a distanza di decenni (è del 1978). Garantito!

Libri. Lasciate ogni speranza voi che... (leggerete Inferno)

Inferno
di Dan Brown


Inferno è il sesto romanzo dello scrittore Dan Brown, assunto alle glorie del successo mondiale con il suo celeberrimo e stravenduto Codice da Vinci. È altresì il quarto romanzo che ha per protagonista il professore Robert Langdon, irrequieto docente universitario americano di simbologia che, per inciso, è una materia che non esiste.... Il filone è quello del giallo-fantasy-storico-letterario. Insomma un minestrone dove dentro c'è posto per tutto, venghino siori venghino. Ma se il Codice da Vinci eccelleva per suspence e coinvolgimento oltre che per i contenuti talmente bislacchi da suscitare polemiche e prese di posizione ufficiali anche in campo religioso, questo ennesimo libro risulta assolutamente fiacco e approssimativo sotto molteplici punti di vista. Basta fare un giro in internet per trovare una valanga di siti che contestano sia le ambientazioni storiche che quelle geografiche messe a punto da Dan Brown che, evidentemente forte del suo successo, non va più tanto per il sottile, ben sapendo che comunque il libro sarà un successo di vendita, con o senza strafalcioni.

Nel romanzo si parla di Dante, e dunque della Divina Commedia, ovviamente di Firenze, degli Uffizi, dei Boboli, di Palazzo Vecchio; ma anche di Venezia con il suo Palazzo Ducale e la basilica di San Marco. C’è, come è naturale, il dotto e brillante professore di storia dell’arte esperto di simbologia, c’è l’immancabile e belloccia fanciulla “assistente” del prof. che fino da ultimo non si sa se lo tradisce o lo aiuta veramente, c’è l’altrettanto immancabile complotto con ricadute mondiali, la conseguente entrata in campo di una organizzazione segreta e ipertecnologizzata, modello Spectre alla 007....
C’è, infine, secondo il collaudato stereotipo di Dan Brown, l’arcano indovinello da sciogliere per giungere a salvare il mondo, con tanto di marchingegno che lo protegge. Insomma nulla di nuovo, a ben vedere, ma rielaborazioni di modelli già sfruttati e collaudati. A questo si aggiunga una pessima traduzione in italiano che fa accapponare la pelle in certi passaggi.
Eppure il libro vende e stravende. E ahimè ci sono cascato anch'io. Sotto l'ombrellone, quest'anno mi sono portato proprio l'Inferno di Brown. L'unico lato positivo del libro è che, nonostante gli strafalcioni, rimane un impagabile spot pubblicitario su Firenze e in parte anche su Venezia. Considerando che il libro è e sarà letto da milioni di persone in tutto il mondo non può che far piacere ai rispettivi uffici del turismo delle due splendide città d'arte italiane. Consoliamoci così, che è meglio.

lunedì 26 agosto 2013

Libri. Il senso del dolore

Il senso del dolore
(L'inverno del commissario Ricciardi)

di Maurizio De Giovanni


Napoli, anni 30. Il grande tenore Arnaldo Vezzi viene trovato cadavere nel suo camerino al Teatro San Carlo prima della rappresentazione de "I Pagliacci", la gola squarciata da un frammento acuminato dello specchio andato in pezzi. Artista di fama mondiale, amico del Duce, osannato dall'opinione pubblica, ma in realtà uomo egoista e meschino. A ricostruire la personalità della vittima e a risolvere il caso è chiamato il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, in forza alla Squadra Mobile della Regia Questura di Napoli.

Il commissario Ricciardi è il personaggio creato da De Giovanni al centro della sua produzione letteraria con una trilogia che lo vede protagonista. Questo poliziotto anomalo ha due caratteristiche che lo rendono tale: fa il piedipiatti per scelta, discendendo da famiglia ricca e conosciuta. Avrebbe potuto scegliere altre strade, compresa quella di vivere di rendita. Invece no. Il suo non è un lavoro in senso stretto, ma una specie di missione/passione. E poi ci sono i morti. Lui li vede ovunque, così come fossero stati immortalati in uno scatto fotografico in punto di morte. Cristallizzati nel loro dolore estremo, nel loro ultimo gesto, nelle loro ultime parole. Spesso strazianti, spesso disperate. Ma anche a volte attonite, sorprese. Perché la morte può arrivare all'improvviso, quando meno la si aspetta. Anzi spesso è la norma. Questa veggenza tormenta il commissario Ricciardi, lo inquieta, non gli da pace. Si sente in qualche modo chiamato a fare il poliziotto anche per dare pace a quei morti agli angoli delle strade che lo invocano e che solo lui può vedere. Una responsabilità enorme.

Il caso ha voluto che, per assoluta coincidenza, proprio qualche giorno prima di leggere questo libro, fossi stato a Napoli per una brevissima visita turistica. Un pomeriggio, nulla di più. Inevitabile la passeggiata nei luoghi classici della città: Mergellina, Piazza del Plebiscito, via Chiaia, il Teatro San Carlo, la Galleria Umberto. Ma anche il Caffè Gambrinus in Piazza Trieste e Trento. Prendere poi in mano il libro e ritrovare proprio quei luoghi meravigliosi visitati poche ore prima è stata una sorpresa non da poco. Immaginare il commissario Ricciardi camminare col bavero del cappotto alzato sul lungomare sferzato dal vento di tramontana o rintanarsi nel Caffè Gambrinus al suo solito tavolino che guarda sul lato di via Chiaia è stato facilissimo e coinvolgente. Davvero un bel caso fortuito che ha reso più appassionante la lettura, per rivivere l'atmosfera magica di quei luoghi.
Maurizio De Giovanni è un grande scrittore. Riesce a dare alla storia e ai personaggi uno spessore inusitato, che va ben oltre la semplice descrizione narrativa. Tutta l'atmosfera del racconto poliziesca è permeata di una sorta di realtà palpabile. In una parola, verità. La storia tutta ha un sapore vero, come anche i personaggi, le circostanze, i luoghi. Il rapporto con il reale e la sua percezione è una delle sfide di De Giovanni/Ricciardi. Cito a proposito lo stesso commissario Ricciardi: "La verità non è quella che sembra, a volte. Anzi non lo è quasi mai. E' un po' come la strana luce di questi lampioni, illumina una volta qua ed una volta là. Mai tutto insieme. Allora lo si deve immaginare, quello che non si vede. Lo si deve intuire da una parola detta o non detta, un'orma, un'impronta. Una nota, a volte."

Grande.

...........................
5/9/2013 Aggiornamento del post:
Un'attenta lettrice (che ringrazio) mi fa notare un errore da me commesso nel citare la bibliografia di Maurizio De Giovanni. Non di una trilogia dedicata al commissario Ricciardi si tratta, ma (finora) di una produzione ben più vasta.
Il ciclo si compone fino ad ora dei seguenti libri:

Libri. Pedra Delicado, l'ossimoro vivente

Gli onori di casa

di Alicia Giménez-Bartlett


Alicia Giménez-Bartlett ha scelto, fin dall'attribuzione del nome del personaggio (Pedra Delicado, un vero ossimoro!), di creare una figura femminile di poliziotta ambigua, a due facce, duplice e ambivalente. Sul piano umano una donna sensibile, colta e facile all'innamoramento (ma anche il contrario, con tre matrimoni alle spalle...);  sul piano professionale, una vera e propria dura. Una piedipiatti con tutti i crismi che punta diritta al bersaglio e non molla la presa se non a enigma risolto. Non è una poliziotta d'azione, quanto piuttosto una investigatrice, un'analista di fatti e di indizi, di caratteri umani, di circostanze, di situazioni. Un lavoro di fino, piuttosto che di quantità. A quello ci pensano gli altri, i personaggi di contorno che pure hanno un gran peso nell'economia strutturale della serie. C'è il fido vice ispettore Fermin Garzon (una vera spalla comica che fa da contraltare alla rude ispettrice Delicado) e le due assistenti Yolanda e Sonia, che entrano in gioco per la bassa manovalanza. La vera mente investigativa però è lei, Petra, brillante quarantenne di bell'aspetto, plurimaritata e pluridivorziata, che non disdegna una fresca birretta a qualunque ora del giorno come potrebbe fare il grande Maigret.
Ma, lo dico chiaramente, a me Petra non sta per nulla simpatica. Il personaggio è troppo caratterizzato secondo un cliché di donna moderna e aggressiva. Tratta con sufficienza e alterigia i suoi collaboratori, salvo quando ritiene di voler assumere atteggiamenti camerateschi. Sempre pronta a far valere i gradi gerarchici, ad alzare la voce e a maltrattare quel povero diavolo del vice ispettore Garzon. Il quale a sua volta, giustamente, non perde occasione per stuzzicarla e provocarla. Per non parlare delle sue relazioni affettive. Con tre mariti in archivio ha il suo bel da fare anche con uno stuolo di figli acquisiti con le famiglie allargate. Ma sempre con quel pizzico di supponenza indisponente. Opinione mia personalissima, ovviamente, ma bisogna dire che si tratta comunque di un quadretto contrastato molto ben studiato ed anche efficace, bisogna riconoscerlo. A tutto onore di  Alicia Giménez-Bartlett che si è conquistata un posto d'onore nel panorama della letteratura poliziesca, non solo europea.

In questo episodio -Gli onori di casa- la vicenda si sposta anche in Italia, essendo coinvolto nelle indagini della polizia di Barcellona anche un killer della camorra napoletana in trasferta. Una volta tanto ci vengono risparmiate le solite caratterizzazioni "all'italiana" sia di malviventi che di poliziotti, mantenendo tutto su un piano di sobrietà. Per inciso, la Polizia italiana ci fa anche una discreta figura, il che non guasta affatto, una volta tanto.
Una considerazione sul libro in oggetto. Le indagini vertono sulla riapertura di un caso già chiuso di omicidio. Colpevoli individuati e condanne scontate. Tuttavia qualcosa che non quadra c'è ancora ed è per questo motivo che indagini supplementari vengono affidate all'ispettore Delicado e al suo team. Tra Spagna e Italia la vicenda si rivela abbastanza complessa avendo a che fare con reati valutari e traffici internazionali di riciclaggio di denaro sporco. Ma da sottotraccia rimane l'omicidio originale, quello di un ricco imprenditore, assassinato durante un "convegno amoroso" con una giovane prostituta. L'epilogo e relativo colpo di scena, che ovviamente non rivelerò, mi ha rimandato all'ultimo romanzo di Andrea Camilleri, Un covo di vipere, per analogie rilevanti relative all'ambiente familiare nel quale si sviluppa la storia. Sia il maestro Camilleri che l'iberica Giménez-Bartlett, hanno scelto di scavare a fondo l'ambiente più segreto della famiglia, la cellula base della nostra società (sia essa italiana che spagnola). Come dire che al di là dei grandi delitti anche con rilevanza internazionale, il male e le sue radici sono lì vicino a noi, dove forse non ci aspettiamo di trovarle (o non vorremmo trovarle...).

domenica 25 agosto 2013

Film visti. Wolverine, (im)mortalmente noioso...

THE WOLVERINE: L’IMMORTALE                                    
Regia: James Mangold. Con: Hugh Jackman
 
[Voto 2 su 5]
 

Eroi dei fumetti tradotti e adattati per il cinema. Operazione di gran moda in questi anni. Può andare bene una volta o due. Poi basta. Questo ennesimo Wolverine appartiene alla saga dei semi umani modificati che acquisiscono capacità e poteri particolari. In questo caso artigli d'acciaio (anzi di più: adamantio ) retrattili. Ah, dimenticavo. Wolverine oltre ad avere gli artigli è anche immortale. Gli si può sparare, lo si può accoltellare o cannoneggiare che lui non si fa un graffio. Anche se stavolta qualche problemino in più del solito lo impensierisce non poco... 

Il film è ispirato al celebre fumetto della Marvel in cui Logan (Hugh Jackman), il mutante conosciuto nel mondo come Wolverine, arriva in un Giappone che non ha visto dall’epoca della seconda guerra mondiale e che ora presenta un panorama pieno di yakuza e samurai. In fuga assieme a una bellissima e misteriosa ereditiera, dovendosi confrontare per la prima volta con la sua mortalità, arriverà al limite, sia fisicamente che psicologicamente, come non era capitato nella sua vita.
Insomma, in periodo estivo, parlando di cinema, la sintesi è sempre la stessa. Ovvero: se proprio siete appassionati di fumetti e non c'è niente di meglio al cinema....
 

Film visti. A me gli occhi!


Now You See Me - I maghi del crimine

Regia di Louis Leterrier. Con Jesse Eisenberg, Mark Ruffalo, Woody Harrelson, Mélanie Laurent, Isla Fisher.



[Voto 2,5 su 5]

Che dire di questo film? Del frequentatissimo genere "non passerà alla storia", rimane comunque un buon passatempo estivo in mancanza di meglio da vedere al cinema. E' comunque brillante, divertente, in qualche modo appassionante, beffardo, inconcludente, raffazzonato, intrigante, interpretato con mestiere.... Può bastare?

venerdì 23 agosto 2013

Film visti. Libero sfogo alla violenza dal tramonto all'alba?


LA NOTTE DEL GIUDIZIO
Regia di James DeMonaco. Con Lena Headey, Ethan Hawke.

[Voto 3 su 5]


Combattere la violenza che assilla e condiziona la società contemporanea attraverso una regolamentazione che ne consente il libero sfogo in tempi e modi controllati? Questa è la tesi da cui muove questo film non a caso giunto sugli schermi in periodo estivo, quando notoriamente si va meno per il sottile con la qualità della proposta. In questo caso, tuttavia, il film si rivela meno peggio del previsto, giustificando quindi il voto 3 benevolmente concesso.

Stati Uniti, 2022. La situazione socio-economica è ottimale, con un indice di disoccupazione ai minimi storici e una criminalità quasi azzerata. C'è però un prezzo da pagare per questa pace sociale: una notte all'anno è lasciato libero sfogo agli istinti violenti e tutto è permesso, qualunque crimine. Senza che nessuna istituzione  intervenga, né a limitare nè a punire. Perciò, quelli che possono si asserragliano dentro case perfettamente protette ed equipaggiate, aspettando che passi. Già, perché il giorno dopo si contano le vittime, si ripuliscono le strade del sangue versato e si ricomincia daccapo in una società scintillante e assolutamente politically corretta. Amici come prima; felici e contenti.
Senonchè succede che proprio ad un commerciante di sistemi di sicurezza andati a ruba per blindare le abitazioni in vista della notte di fuoco, le cose vadano male. Perché è proprio la sua abitazione (una sorta di legge del contrappasso) che viene presa di mira da una banda di rispettabili cittadini desiderosi di sfogarsi con una caccia all'uomo divertente e liberatoria, oltreché legale. Una vittima designata che è nera, sporca e sudata come si conviene al personaggio sacrificale. Ma non solo. Proprio all'interno della sua armoniosa famiglia accade che ci sia qualcuno che vuole fargliela pagare a colpi di pistola. E' il fidanzatino della figlia che non accetta la diffidenza del futuro suocero nei suoi confronti. Le prime avvisaglie di una nottata non esattamente tranquilla dunque partono dal seno del nucleo base della società: la famiglia. Ovvero, mai dare nulla per scontato...
Si aggiungono poi i vicini di casa, fino all'imbrunire amiconi e affettuosi come si conviene al cliché del buon vicinato, ma nella notte dei fuochi pronti a fare a pezzi il venditore di sistemi di sicurezza per invidia del suo successo commerciale.
Insomma una macelleria legalizzata alla fine della quale tutto dovrebbe ricominciare con un colpo di spugna sul sangue versato. Possibile? Secondo psicologi e sociologi (vera lobby dominante nella società americana) sì. Secondo buon senso e una robusta dose di sano realismo mica tanto. Infatti........

Il senso di marcio che rimane in bocca alla fine del film è che alla base di tutto ci sia comunque una lotta tra ricchi e poveri. I primi asserragliati nelle loro dimore ultra sicure, ben protetti nella loro bambagia di modi per bene e di buon vicinato. Con un occhio al fatturato e con l'altro ai figli da allevare secondo uno stile di vita blindato. I secondi a fare da vittime designate da cacciare per dare da sfogo agli istinti bestiali più violenti e sanguinari dei primi. Il tutto con il benestare delle regine delle scienze moderne che regolano i rapporti umani: psicologia e sociologia. Naturalmente interpretate a senso unico.

Film visti. Red 2 (nulla oltre il trailer)

RED 2
Regia di Dean Parisot. Con Catherine Zeta-Jones, Bruce Willis, John Malkovich, Helen Mirren.

[Voto 2 su 5]

L'ex agente speciale CIA Frank Moses riunisce la sua improbabile squadra di agenti segreti in una ricerca a livello globale, tra Parigi, Londra e Mosca, per rintracciare un congegno nucleare portatile scomparso. Per riuscire nell'impresa, gli agenti dovranno sopravvivere ad un esercito di implacabili assassini, spietati terroristi e incontrollati ufficiali governativi, desiderosi di accaparrarsi quest'arma di ultima generazione.
Il genere è la classica spy story internazionale in salsa paradossale. Per non prendersi sul serio senza rinunciare a sparatorie e inseguimenti. Ma si può tranquillamente rinunciare alla visione del film intero, perché risulta noioso e prevedibile. Le cose più succose e divertenti sono già tutte condensate nel trailer (quello sì, davvero bello). Visto quello, visto tutto.

mercoledì 14 agosto 2013

In moto. Longarone, Passo Falzarego, Tofane, lago di Alleghe

Percorso: Padova-A4 e A27- Longarone-SS51-Cortina d'Ampezzo-SS48-Passo Falzarego-SR203-Alleghe-Belluno-A27 e A4-Padova. Totale 410 km.


Gruppo Cinque Torri innevato
Ecco un altro percorso dolomitico che si presta per godersi la moto unendo un indispensabile tratto autostradale come tappa di trasferimento, ai tornanti stretti e tortuosi in alta quota che fanno la felicità degli appassionati delle due ruote. Si arriva fino ai 2105 metri di Passo Falzarego, sotto il Lagazuoi, con la splendida vista della Tofana di Rozes (oltre 3200 m.) a sovrastare tutto il paesaggio. Dalla sommità del passo è possibile prendere la funivia che porta al rifugio Lagazuoi, occasione imperdibile per chi volesse gettare lo sguardo su una delle meraviglie della natura che offrono le Dolomiti: il gruppo delle Cinque Torri (a dirla tutta esiste anche la possibilità di percorrere un sentiero e di scarpinare per alcune ore per raggiungere il rifugio; ma dubito fortemente che questa possibilità interessi chi è nel bel mezzo di un giro in moto).  Il complesso è formato da cinque speroni di roccia (da cui deriva il nome) con un'altitudine massima di 2.361 m. s.l.m. (Torre Grande). Ogni "torre" ha un proprio nome:
  • Torre Grande, la maggiore, presenta tre cime ambitissime dagli appassionati rocciatori: Cima Nord, Cima Sud e Cima Ovest;
  • Torre Seconda, composta da tre cime distinte chiamate Torre Lusy, Torre del Barancio e Torre Romana;
  • Terza Torre, o Torre Latina;
  • Quarta Torre, formata da due diversi denti di roccia di diversa grandezza, e per questo chiamati rispettivamente Torre Quarta Bassa e Torre Quarta Alta;
  • Quinta Torre, o Torre Inglese.


Lagazuoi
Per quanto riguarda le Tofane, uno dei simboli per antonomasia di Cortina contraddistinte dal tipico colore rosaceo della dolomia, sono forse il massiccio più maestoso tra tutte le montagne che si affacciano sulla conca ampezzana. Si estendono sul versante occidentale della valle, tra il Passo Falzarego e la Val di Fanes, in direzione nord-sud, e conta tre vette principali, tutte con quota superiore ai 3.000 metri:
  • la Tofana di Rozes (o di Roces), 3.225 m s.l.m., la più meridionale;
  • la Tofana di Mezzo (o Seconda), 3.244 m s.l.m., la più elevata;
  • la Tofana di Dentro (de Inze o Terza), 3.238 m s.l.m., la più settentrionale, collegata alla precedente da una cresta.
Tornanti di Passo Falzarego. Sullo sfondo domina la Tofana di Rozes
 
Si riprende il percorso scendendo fino ai 1000 metri del lago di Alleghe che si allarga sotto lo sguardo severo del Civetta (3218 metri). Raccomando di passare da Colle Santa Lucia perché questo piccolo paesino di poche anime offre una terrazza panoramica con vista sulle Dolomiti senza eguali. Non ci sono parole per descrivere la bellezza del paesaggio.  La temperatura si alza rapidamente e con essa anche il paesaggio che da aspro e roccioso torna ad essere verde e lussureggiante, tra boschi e prati. La riposante tranquillità del lago è a dire il vero alquanto sonnolenta, ma nei dintorni (Cencenighe) ci sono ottime gelaterie e quindi val bene una sosta sulla strada di ritorno. Il percorso dal Passo al lago è piuttosto tranquillo e molto guidabile, non dispiacerà agli amanti delle pieghe su due ruote. Ma con prudenza, ovviamente.
Da Alleghe si scende ancora fino a Belluno da dove si prende l'autostrada per l'ultima tirata fino a casa.

La Caponord in sosta alla partenza della funivia Lagazuoi

Complessivamente sono 400 km. Per i miei gusti non sono troppi, calcolando che con le dovute soste si possono frazionare comodamente. Ma per una giornata in sella alla moto godendo dei panorami tra i più belli al mondo ne vale senz'altro la pena.




martedì 13 agosto 2013

In moto. Prealpi venete in tutto relax

Percorso di 220 km. Padova-autostrada A4/A31- Piovene Rocchette- SP78/SP79-Lavarone-SP349-Asiago-SP72- Bassano del Grappa- SS47-Padova.

Lago di Lavarone

La zona è quella delle Prealpi venete, provincia di Vicenza con sconfinamento in Trentino. Non alta montagna, si arriva al massimo a quota 1000 metri (circa). E' un percorso non impegnativo, perfetto per un giretto in pieno relax. Si fa poca autostrada, solo una cinquantina di km, poi tutto il resto si snoda in gran parte su strade molto "guidabili" con parecchie curve e tornanti. Bisogna fare molta attenzione alla provinciale che da Asiago porta a Bassano perché in troppi la interpretano come una pista dove correre alla disperata. Col risultato che quasi ad ogni fine settimana qualche motociclista ci lascia la pelle. Come al solito gli scatenati delle curve a tutta velocità sono pregati di andare a sfogarsi in pista e lasciar perdere le strade normali.
Asiago
Fatta eccezione per il tragitto di pianura il resto è tutto un susseguirsi di boschi di abeti freschi e ombrosi, che invitano a fare una sosta ristoratrice e rilassante. Molto bello il piccolo lago di Lavarone, vivibile anche con giri in barca e spiagge attrezzate per prendere il sole. Facile trovare punti di ristoro lungo tutto il percorso, anche con specialità locali come il formaggio cotto alla piastra (Tosella) con polenta e funghi. Buon viaggio.

giovedì 13 giugno 2013

Film visti. La saga infinita di Star Trek

Into darkness
Regia di J.J. Abrams
con Zoe Saldana, Chris Pine, Zachary Quinto, Anton Yelchin

[Voto: 3 su 5]


Questo ennesimo Star Trek è il sequel del prequel. Non è uno sciolingua, è proprio così. Il precedente esipodio (bellissimo!), sempre a firma di J.J. Abrahams, era l'antefatto della saga televisiva che presentava i vari Spock, Kirk, Sulu, ecc. nella loro gioventù, quando ancora sbarbatelli freschi di Accademia, cominciavano a macinare anni luce sulle astronavi della flotta stellare in giro per lo spazio in cerca di guai. In Into darkness troviamo i baldi giovanotti dal punto dove più o meno li avevamo lasciati, ma comunque molti decenni prima del periodo descritto nel serial televisivo.
Anche il personaggio di questa "puntata" è un nome noto ai fedelissimi. Si tratta di Khan (da cui l'episodio cinematografico di una ventina d'anni fa "L'ira di Khan") preso anche lui agli esordi ma già cattivissimo e potentissimo.
Il limite (ma forse anche il pregio) del film è proprio questo. Sa tutto di già visto, sfruttato e risfruttato. Se il precedente episodio faceva leva sulla novità di ritrovare gli storici protagonisti nella loro gioventù, in Into darkness viene meno anche questo elemento. Cosa rimane? Una trama abbastanza indecifrabile e avvitata su se stessa, personaggi principali ormai straconosciuti perchè visti, stravisti e analizzati da giovani, da adulti e da anziani. In questo episodio non manca neppure una resurrezione... Effetti speciali nella norma, ma che ormai non fanno più tanto effetto negli spettatori.... Insomma una mezza delusione che arriva al punto di sfiorare la noia. Che, per essere un film di azione e di fantascienza, è proprio disperante.
Ma, come detto, la possibile delusione porta con sè anche qualcosa di buono. Into Darkness è meno chiassoso e burlesco del primo di J.J. Abrahams, ma rivela di contro un'insospettata vena umanista e uno sguardo più maturo, meno sbarazzino, con l'attenzione rivolta a questioni da sempre dibattute nella cultura americana come la paternità (tre almeno le figure paterne del film), la leadership, la lealtà e il lutto. Per non dimenticare il sempiterno e universale valore dell'amicizia, per il quale si è disposti (Kirk) anche a dimenticare anche il tradimento (Spock).
Buona visione.

P.S.: il è distribuito nella sola versione in 3D. Non impazzisco per il 3D, preferisco la visione tradizionale. Fa più "cinema".

Film visti. After earth (che brutto futuro...)

After Earth
Regia di M. Night Shyamalan 
con Will Smith e Jaden Smith (padre e figlio)

[Voto: 1,5 su 5]

Mi dispiace non ci siamo proprio. M. Night Shyamalan è ben lontano dalle sue migliori prestazioni e tutto il film che chiaramente è pensato per celebrare la nascente dinastia degli Smith, Will e Jaden, non riesce a catturare lo spettatore procedendo stancamente e prevedibilmente senza reali colpi di scena. Finale prevedibile e facilmente intuibile già dopo pochi minuti.

Siamo nel solito e sfruttato filone postcatastrofico, con la solita terra devastata dall'incuria umana e/o da guerre distruttive. Qui l'azione si svolge in un futuro di mille anni quando il genere umano è migrato su un altro pianeta per una nuova vita lasciandosi alle spalle una terra ormai inospitale. In mille anni poco è rimasto della consapevolezza delle origini terrestri e del nostro pianeta ormai ci sono solo tracce nei musei o in qualche raro libro.
Succede che una super astronave fa naufragio proprio sulla terra e gli unici due supersititi sono Will Smith, generale eroico e stimato della nuova civiltà umana, e suo figlio Jaden, cadetto mancato e rampollo allevato militarmente da cotanto padre. Una fetecchia di famiglia, diciamo la verità. Insomma la trama è tutta qui ed è già scritta. Riusciranno i nostri eroi a resistere e salvarsi in attesa dei soccorsi su un pianeta che ormai fa paura anche solo per un insetto?
Indovinate un po' come va a finire....

Film visti. Effetti collaterali (veri o presunti)

Effetti collaterali
Regia di Steven Soderbergh
Con Jude Law, Rooney Mara, Catherine Zeta-Jones, Channing Tatum, Vinessa Shaw

[Voto: 3 su 5]

Effetti collaterali, ossia conseguenze non volute o non previste susseguenti ad un fatto o un evento. Nel caso in questione si tratta degli effetti dell'uso di farmaci antidepressivi.
Per affrontare il rientro del marito dopo un periodo di detenzione, la di lui giovane mogliettina (una opaca Ronney Mara) decide di combattere la sua depressione affidandosi alle cure di uno specialista. Prova quindi una serie di farmaci, uno dei quali, l'Ablixa, è determinante: infatti, una sera, non appena il marito Channing Tatum torna a casa, lei, immersa in un apparente stato di sonnambulismo, lo accoltella a morte. Le prove sono chiare e inconfutabili; tuttavia la moglie-assassina non viene incriminata, poiché non ricorda nulla ed era quindi incosciente delle sue azioni. Così, passa in un istituto di salute mentale, in misura preventiva. Lo psicanalista che l'aveva in cura e che le aveva prescritto il micidiale farmaco (un ottimo Jude Law), deve combattere col senso di colpa di aver inidirettamente provocato la morte di un uomo. E il dubbio prima si insinua e poi lentamente cresce e prende corpo, fino al punto di non essere più certo dell'innocenza della mogliettina semicatatonica...

Il film sfonda una porta aperta con chi, come me, ha fortissimi pregiudizi contro i farmaci antidepressivi e gli strizzacervelli in genere. Sono pregiudizi, ok. Quindi per definizione ampiamente immotivati e gratuiti. Tuttavia non ho nessuna simpatia e nessuna fiducia in chi può manipolare la mente umana con un composto chimico. tanto più che troppo spesso se ne fa un abuso abnorme fino a creare una dipendenza sia fisica che psicologica che realmente rende incapaci di intendere e di volere. La domanda è se gli effetti non siano più pericolosi e dannosi delle cause. Altra considerazione è che più si assumono antidepressivi e più si è incapaci di autodeterminarsi, di controllare gioie e tristezze, in balia completa di una perfida pillolina. In America ci vanno dentro alla grande, essendo lail regno per antonomasia dell'uso e dell'abuso sia della psicologia, applicata anche alle più infime banalità quotidiane, che della psicanalisi come compagna di vita. E se non sono le pillole è l'alcool. Il film di Sodeberg rispecchia esattamente questa realtà dove la ricerca di un equilibrio interiore sembra appaltato a psicanalisti e alle loro miracolose pillole antidepressive da buttar giù a manciate.
Il film finisce con l'essere un classico poliziesco con colpi di scena finali. Jude Law psicanalista dimostra di saperla lunga e di non essere disposto a farsi infinocchiare dalla melanconica mogliettina infelice.... Non male nel complesso.

martedì 28 maggio 2013

Rugby, un gesto che vale mille parole

Sabato 25 maggio 2013. Stadio Chersoni di Prato. Finalissima del Campionato d'Eccellenza di rugby. Una partita che vale lo scudetto. In campo Mogliano e Prato. 80 minuti di durissima battaglia nel fango, senza esclusione di colpi, ma corretta. Alla fine è Mogliano a vincere con un finale al cardiopalma e il risultato in bilico fino all'ultimo secondo. Il trionfo della squadra veneta, al suo primo scudetto e dopo una stagione tutta in salita, sprigiona una gioia incontenibile. L'occhio dei fotografi coglie questi momenti di gioia dei vincitori. Ma non sfugge un'immagine che vale più di mille parole.


Il vincitore che consola lo sconfitto. Questo è il rugby!

Il giocatore Lucchese, mediano di mischia del Mogliano, va a consolare il seconda linea avversario Cavalieri, visibilmente scosso per la sconfitta.

Lo spirito del rugby è questo: rispetto reciproco.
Gesù, grazie che mi hai fatto rugbysta...!!!!
 


 
E dopo la battaglia nel fango, il premio al vincitore...!

Le foto di Daniela Pasquetti sono tratte dal sito www.onrugby.it 
Link: